Mattia Albanese
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Informazioni trovate online:
L'attribuzione a Giove dell'edificio di culto è legata al ritrovamento nell'area di una statua del dio ritenuta pertinente all'edificio. L'epiteto Toro deriva probabilmente dal toponimo presente in documenti tardorinascimentali, legato alla geomorfologia dell'area leggermente rilevata. Si tratta di un tempio periptero con 10 colonne sui lati lunghi e 6 sulla fronte e sul retro, al quale si accedeva attraverso una scalinata, di 28-29 gradini. L'edificio era circondato da un portico il cui accesso era probabilmente monumentalizzato con un propileo. Il tempio misura 27,77 x 16,54 m e poggia su un podio in opera laterizia che a sua volta poggia su una piattaforma di quasi 5 m in tufelli alternati a laterizi. Il podio presenta le tracce dell'impostazione dei muri della cella, posti ad una distanza di rispetto dalle basi delle colonne di circa 30 cm. Sulla fronte della cella le tracce permettono di ricostruire la presenza di due coppie di basi forse pilastri. I lati lunghi del podio e gli angoli della fronte fino all'innesto con la scalinata sono affiancati da un gradone.
A S dell'impianto templare resta il lato lungo del portico documentato per 46 x 6 m con la preparazione del pavimento in bipedali. In corrispondenza del primo gradino della scalinata si apre sul portico un'esedra rettangolare (9,45 x 5 m), sulla cui parete di fondo si apriva forse una piccola porta.
Attualmente si conserva il podio e alcune murature rasate con le tracce degli alzati e dei sostegni. L'edificazione del tempio è attribuibile all'opera di munificenza del senatore Erode Attico al tempo della deduzione a colonia del municipio canosino nel 141-142 d.C., sotto il principato di Antonino Pio.
Il tempio, al momento dell'abbandono, fu depredato della ricca decorazione architettonica in marmo proconnesio di cui rimangono numerose testimonianze frammentarie come capitelli corinzio asiatici, frammenti di colonne di granito della Triade, di architravi e cornici finemente scolpiti. Una serie di trasformazioni hanno interessato tutta l'area templare ed in particolare il portico. Presso l'angolo sudorientale del muro fu aggiunta un'abside in tufelli e mattoni, per la quale si è ipotizzata l'inclusione in un edificio cristiano che si impiantò in quest'area probabilmente nel VI secolo.
L'esedra del portico fu divisa da una serie di tramezzi realizzati con una tecnica muraria poco accurata in 3 zone in cui sono stati ritrovati materiali ceramici di V-VI secolo e mattoni con il monogramma del vescovo Sabino (VI secolo). Anche lo spazio tra il portico e il tempio fu oggetto di trasformazioni non ben documentate; sono stati rinvenuti frammenti di formelle afferenti probabilmente a una balaustra, che trovano confronti nella chiesa di S. Pietro a Canosa ed in alcuni rinvenimenti in località Santo Staso a Gravina.
L'ultima fase di utilizzo dell'area è caratterizzata dalla presenza di tombe, soprattutto infantili, che invasero gli spazi disponibili, proprio come avvenne nell'ultima fase di utilizzo delle altre aree paleocristiane cittadine, come la basilica di San Leucio e il battistero di San Giovanni.
(Dal cartello)
Il tempio fu edificato su una domus di età repubblicana in una fase di rinnovamento monumentale della città, dovuta alla sua elevazione a Colonia. Il santuario pagano si innalzava su un podio con le superfici di mattoni, unica parte oggi rimanente dell'edificio. Una scalinata permetteva di accedere all'interno. I quattro lati esterni del tempio erano scanditi da una serie di colonne che circondavano una cella. Il tempio era affiancato da due portici opposti ai lati più lunghi dell'edificio. Tra III e IV secolo d.C., quest'area fu utilizzata per funzioni artigianali, commerciali e religiose. In età paleocristiana il tempio fu spogliato delle sue decorazioni riutilizzate nell'odierna cattedrale San Sabino.