Alessandro Volucello
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Se si vuol esser allegramente schedati, proprio come nel periodo fascista, basta recarsi nella casa museo di un antifascista; incredibile ma vero! Almeno così è nella Casa Museo Galimberti, di Cuneo, da quanto appare sul sito comunale e quanto riferitomi, su richiesta, dalla guida incontrata, amministrata dal Comune del capoluogo piemontese.
Andiamo con ordine.
Credevo che, per prima cosa, mi sarebbe stato richiesto il pagamento di un prezzo, sia pur irrisorio, mentre la visita è gratuita. Ciononostante, essa ha ben poco gratificato i sensi, oltretutto ritenendo il costo della capata a un luogo d’arte (a meno che non sia davvero sproporzionato) uno degli ultimi elementi da tenere in considerazione per un complessivo giudizio. Il giro comincia, infatti, dovendo sottostare al racconto preimpostato gestito dalla guida, che lo si voglia (generalmente non lo disdegno, ma una cosa è sceglierlo un’altra è vederselo, oserei dire, irrogato) oppure no. In tal guisa diventa difficile soffermarsi dilettevolmente sulle (pur esigue) opere custodite.
La casa ha ospitato tre generazioni, a partire dal nonno di Duccio Galimberti, dalla cui moglie ebbe quattordici figli e che al pian terreno aveva installato la propria tipografia, per passare al padre, Tancredi (politico, anche di livello nazionale, di trascorsi intensi e impegno per la popolazione locale, il quale fu nominato, al culmine della carriera, ministro delle Poste e Telegrafi), dell’antifascista che qui si celebra, giustappunto Duccio, avvocato come il padre. Curiosamente (ma com’era anche in potenza supponibile) l’antifascismo del povero Duccio dovette passare per più di quelle che si fanno credere come simpatie fasciste della sua famiglia di provenienza, e come di esse pochissime se non inesistenti sono, di primo acchito, le tracce nel museo. Discretamente consistenti risultano, invece, le effigie di coloro che remarono, non senza macchia di sangue, per un’annessione manu militari di un regno che niuno aveva attaccato e se ne stava pacifico per i fatti propri, come quello delle Due Sicilie. Rappresentazioni di Garibaldi in primis e Mazzini in secundis, ma anche Cavour, adornano gli spazi di questo luogo, il quale rimane testimone di una vita di famiglia di rilievo, particolarmente per il cuneese. L’ambiente è sufficientemente oscuro, in senso figurato, come si sarebbe potuto immaginare un ambiente, pur professionale e domestico a un tempo, Ottocentesco piemontese: austero, della locuzione cogliendo peculiarmente la parte più seriosa dell’imprinting.
A fine percorso (e qui giunge la nota la quale mi ha sospinto all’attribuzione di una sola stella), la guida mi dice, come nulla fosse, non che avrei potuto, ma che avrei dovuto: 1) rilasciare nome, cognome e numero di telefono, 2) rispondere a un questionario di apprezzamento destinato al Comune, nonché 3) rispondere a un questionario di apprezzamento destinato alla sua cooperativa (l’Itur). Rimango allibito e quando cerco di farle osservare l’assurdità della cosa, invece di riconoscerla “rincara la dose”, aggiungendo essere ormai prassi un po’ ovunque (una pretesa del genere). Peccato non mi abbia comunicato con precisione dove (e a quel punto il partire nella discussione da due piani non combacianti o anche solo viciniori, domanda non mi avrebbe offerto la minima garanzia di inequivocabile risposta), in modo da verificare (ed eventualmente aiutare altri successivi potenziali visitatori).
Malgrado il tentativo di coinvolgere emotivamente l’utente facendo compagnia per tutto il percorso (e qui sta, evidentemente, la tecnica di marketing in uso, che tuttavia contrasta non solo colla costumatezza, altresì con le vere e proprie norme vigenti nel momento stesso in cui si esordisce con <>), ho accettato di rispondere (e benevolmente, pur in animo ormai contrariato) al questionario (viziato dalla presenza della guida museale alla compilazione) di apprezzamento destinato alla cooperativa Itur. Al resto, ovviamente, no.
A malincuore, ma decisamente, sconsiglio la visita alla Casa Museo Galimberti di Cuneo.